giovedì 27 dicembre 2007

17ma puntata. Felicità

Dopo quasi due secoli di eclissi, la parola felicità oggi sta tornando in auge nei dibattiti sul percorso da intraprendere per incrementare il benessere, non solo economico, della comunità. È questa una rivoluzione iniziata circa trent’anni fa quando, dapprima negli Stati Uniti e poi in Europa, si iniziò a misurare la felicità delle persone tramite questionari e a confrontarla con i tipici indicatori economici, reddito e ricchezza in particolare. Ciò che emerse dagli primi studi è oggi noto come il “paradosso della felicità in economia”, vale a dire la quasi inesistente correlazione tra reddito e benessere delle persone, o tra benessere economico e felicità. I dati raccolti lungo diversi anni dall’economista e demografo Richard Easterlin attorno al 1974 ci dicono che, al di sopra della soglia remunerativa dei 20.000 euro all’anno, più si aumenta il reddito più si è infelici. Perché? La spiegazione più convincente è che il nostro star bene dipende dal consumo dei beni materiali (cibo, vestiario, casa, ecc…) e dalla produzione dei beni immateriali o relazionali. Per il fatto di ottenere ulteriori quantità di reddito devo sacrificare la produzione di beni immateriali (fiducia, reciprocità, amicizia, matrimonio, affetto, ecc…), e quindi anche il suo consumo, perché il bene relazionale richiede tempo e soprattutto la personalizzazione. E siccome lo scopo della vita non è l’utilità derivante dal consumo di più beni materiali, ma dalla felicità della produzione di beni immateriali diventiamo più infelici.

mercoledì 19 dicembre 2007

16ma puntata. Modello sociale europeo

L’Europa vive, oggi, una situazione di stallo. Ma se più Europa è auspicabile nell’interesse di tutti come uscire dall’attuale posizione?
Fino ad ora le politiche europee si sono rivolte esclusivamente alla crescita, una nuova politica sociale – universalista, che pone al centro la persona, orientata al bene comune, con logiche di sussidiarietà - è l'antidoto più efficace contro l’emergere di nuovi rischi sociali e il fattore più decisivo per lo sviluppo economico. Prima ancora che politicamente, sono dell’avviso che è sull’area del sociale che l’Europa deve uscirne unita. Nel corso della puntata si cercherà di capire: le novità storiche per cui è essenziale un nuovo modello sociale europeo, dopo che quello delineato dall’Agenzia di Lisbona (marzo 2000) è fino ad ora rimasto lettera morta; perché non è vero che il rafforzamento degli istituti di tutela sociale implichi la condanna ad una crescita più bassa; quali sono i principi normativi alla base di un nuovo modello sociale europeo sui quali bisogna discutere e per i quali è necessario raggiungere la massima convergenza possibile.

mercoledì 12 dicembre 2007

15ma puntata. Europa

Come nasce il sogno europeo? Perché si è deciso di creare un’integrazione commerciale (mercato unico europeo) e solo dopo un’unità monetaria (euro)? Quali sono stati i benefici apportati dall’euro? Sono queste le principali domande da cui prende avvio la discussione sull’Europa nella consapevolezza che le questioni europee devono entrare nelle case di tutti i cittadini se non vogliamo che continuino ancora ad essere appannaggio dei politici e degli economisti.

mercoledì 5 dicembre 2007

14ma puntata. Incentivi all'energia pulita

Con le tecnologie disponibili le fonti rinnovabili non sono certamente in grado di risolvere il problema energetico (maggiore richiesta di energia elettrica, dipendenza da gas e petrolio, emissione di gas serra), ma il ritardo verso gli altri Paesi europei è in incolmabile e aumenterà esponenzialmente perché non riusciamo a brevettare la tecnologia per produrre energia pulita ad alto rendimento. In Italia il conto energia (DM 19 febbraio 2007) permette a cittadini e imprese di usufruire di interessanti incentivi alla produzione di energia elettrica mediante conversione fotovoltaica della fonte solare; tuttavia i meccanismi di incentivazione alla produzione di energia pulita sono poco chiari rispetto a quelli sperimentati in Germania, dove l’incentivo è studiato con attenzione per offrire certezze in termini di rientro economico dall’investimento nelle varie tipologie di impianto energetico.


Le fonti rinnovabili sono richiamate in tutti i documenti di politica energetica regionali, ma il livello di produzione di energia pulita nel Centro-Nord risulta ancora inferiore a quello potenziale. Al 31 dicembre 2005, solo il 16,5% del consumo complessivo di elettricità nelle quattro regioni del Centro-Nord (pari a 60.943 GWh) è stato soddisfatto attraverso il ricorso alle energie rinnovabili. La percentuale aumenta al 21,6% quando ci si riferisce al contributo del Centro-Nord alla produzione rinnovabile in Italia da fonte idrica, eolica solare, geotermica, biomasse e recupero rifiuti. I dati emergono dalle ultime statistiche È quanto emerge dalle statistiche, aggiornate al 31 dicembre 2005, del Gestore dei Servizi Elettrici (GSE) sull’effettiva produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile.
Tra le regioni del Centro-Nord, alla Toscana spetta il primato di maggiore produttore di energia pulita con 6.074,1 GWh e 143 impianti alimentati da fonti rinnovabili (IAFR). Inoltre, questa regione è l’unica in Italia a ricorrere all’uso di energia geotermica, generata per mezzo di fonti geologiche di calore, con 31 centrali geotermoelettriche in esercizio per una potenza complessiva installata di 711 MW installati e una produzione totale di 5324,5 GWh (pari all’87,6% di tutta l’energia pulita prodotta in Toscana).
In Emilia-Romagna, invece, più della metà dell’energia pulita (908,8 GWh) viene prodotta attraverso l’utilizzo delle biomasse, sostanze di origine animale e vegetale, e il recupero dei rifiuti solidi urbani. Al 31 dicembre 2005 in questa regione risultano in esercizio 105 impianti alimentati da fonte rinnovabile, di cui 62 sfruttano l’energia idrica, 41 quella delle biomasse e dei rifiuti, 2 quella eolica.
Le statistiche sulle fonti rinnovabili in Umbria mostrano un elevato tasso di efficienza nello sfruttamento dell’energia idrica: solo 28 impianti per produrre complessivamente 1543,5 GWh (le vicine Marche con il triplo degli centrali idroelettriche riescono a produrne solo un terzo) che fanno avvicinare il dato alla producibilità dell’Emilia-Romagna. A pesare in questa regione è l’assenza di impianti qualificati solari termici, fotovoltaico e geotermici.
Basso è il contributo delle Marche alla produzione di energia pulita (solo 628 GWh) pari al 6,2% dell’energia rinnovabile prodotta nel Centro-Nord e all’1,2% di quella in Italia. Il dato risulta anche da un’assente diversificazione nelle fonti rinnovabili, in particolare non sono stati costruiti impianti energetici di natura solare, eolica e geotermica. In questa regione 94 impianti su 102 sono impiegati a produrre energia idroelettrica per una potenza installata di 218,3 e una producibilità di 582,2 GWh (pari al 92,7% di tutta l’energia pulita prodotta nelle Marche).
(Fonte: 27/06/2007, Marco Marcatili,
Il Sole 24 Ore Centro Nord)

mercoledì 28 novembre 2007

13ma puntata. Risparmio energetico

Attualmente l’unica vera fonte di energia alternativa, pulita, economica, immediata e accessibile a tutti è il risparmio energetico, sia in ambito civile che soprattutto in quello produttivo. Come i cittadini possono riqualificare le proprie abitazioni attraverso l’interessante bonus fiscale del 55% proposto nuovamente nella finanziaria 2008 e come le imprese possono razionalizzare i consumi grazie a delle strategie di energy management sono i temi clou discussi in questa puntata.
Ad esempio quali sono le pratiche per eliminare gli sprechi all’interno delle piccole e medie imprese? Oltre alle semplici azioni di buon senso, uno dei più importanti interventi riguarda la possibilità di introdurre dei dispositivi di stima (in fase di progettazione) e di controllo (in fase di esercizio) dei consumi di energia del sito produttivo per ottenere un rapporto sui consumi energetici dell’intero ciclo produttivo. L’obiettivo diventa di organizzare il processo per cercare di assottigliare il più possibile i punti di “picco”, dove risulta massimo il dispendio di energia, definendo gli interventi sulle strutture, sui componenti e sui materiali, che migliorano il rendimento complessivo nell'utilizzo dell'energia termica ed elettrica. Prendiamo, ad esempio, un complesso di industrie (alimentari, agro alimentari, tessili, cartarie, conciarie, del cemento, della ceramica e della chimica) con elevata incidenza di consumi termici previsti a 9-11 milioni di tep per l'anno 2010. Con gli interventi sopra indicati è realistico ottenere una riduzione dei consumi del 10%, ovvero di circa 1 milione di tep; il rendimento complessivo del ciclo dell'energia termica cresce dal 60 al 67%.

mercoledì 21 novembre 2007

12ma puntata. Energia

L’età della pietra non è finita per mancanza di pietre, così anche il petrolio non finirà per mancanza di greggio. Ma al World Energy Council (Roma, novembre 2007) i conti non tornano: per produrre elettricità, i tre protagonisti della diversificazione energetica del nuovo millennio sono metano, carbone e nucleare, accompagnati in coda dalle fonti rinnovabili. Ma come far fronte alle stime di crescita del consumo di energia primaria (+53% a livello globale secondo l’International Energy Agency) e arginare al massimo l’effetto serra causato dai combustibili fossili? Tutto ruota attorno alle idee per produrre elettricità in futuro e ai problemi legati a qualsiasi risorsa e tecnologia al momento disponibili.
Metano. Una centrale a ciclo combinato riesce a estrarre dalla combustione del metano circa i tre quarti dell’energia sviluppata, quindi il rendimento è abbastanza alto e l’inquinamento molto contenuto. Tuttavia, il costo del metano è molto legato al greggio. Necessita di un mercato liberalizzato e di rigassificatori.
Carbone. Anche se il costo della materia prima è modesto, una centrale a carbone è molto inquinante e il suo rendimento si aggira normalmente sul 30%, con una perdita considerevole di energia nei fumi caldi e nelle acque di raffreddamento. È da dire però che con le nuove tecnologie si riesce a superare il 45%.
Nucleare. Pensare di tornare ora al nucleare è discutibile sul piano economico oltre che su quello della sicurezza degli impianti e dello smaltimento delle scorie radioattive prodotte dalla fissione, tuttavia pensare di prescinderne anche in futuro è una sciocchezza. È necessaria la ricerca sul nucleare di quarta generazione, intrinsecamente sicuro e con una produzione nulla di scorie grazie alla fusione.
Idroelettrico. C’è spazio per il miglioramento dell’efficienza delle centrali, ma siamo orami arrivati ad una saturazione dello sfruttamento delle risorse idriche.
Eolico. Forma energetica intrappolata dalla sindrome “nimby” (not in my back yard), ovvero sono tutti d’accordo allo sfruttamento del vento in Italia, purché le turbine eoliche rumorose e pericolose in caso di guasti al rotore non vengano installate vicino a casa nostra. È stato proposto la costruzioni di centrali eoliche in mare (offshore), ma le complicazioni nella costruzione e manutenzione aumentano notevolmente il costo di 1 kw/h rispetto alle fonti tradizionali.
Solare fotovoltaico. Alti costi di investimento, scarsa disponibilità di silicio e basso rendimento. Conveniente per i grandi impianti che però stentano a decollare per oggettivi ostacoli burocratici e incertezze sul tempo di incentivazione.
Biomasse. Gli alti costi di trasformazione degli impianti rendono incerto il loro sfruttamento in caso si uno shock petrolifero; l’utilizzo di prodotti alimentari pone il problema della crescita dei prezzi dei beni primari nei paesi meno sviluppato. Tuttavia le centrali che utilizzano i prodotti di scarto del legname restano ancora la nuova frontiera.

mercoledì 14 novembre 2007

11ma puntata. Petrolio

Quali sono le cause dell’aumento vertiginoso del prezzo del petrolio, da 10 dollari al barile nel 1998 ai 100 sfiorati nelle scorse settimane? I fattori reali hanno una rilevanza del tutto parziale rispetto a una dinamica dei prezzi in cui le logiche finanziarie continuano a svolgere un ruolo determinante. Le scommesse sul futuro del prezzo del Wti (petrolio estratto in Texas e quotato al New York Mercantile Exchange) e del Brent (petrolio più pregiato, estratto da Mare del Nord e quotato all’International Petroleum Exchange). Se sul petrolio si specula molto, si investe anche poco. Ed è questa la seconda causa per cui non si è riusciti in trent’anni a migliorare i processi di trivellazione riducendone i costi. Ad efficienti progetti di trivellazione ed efficaci ricerche di nuovi giacimenti, le società petrolifere preferiscono piani di buy-back. Un esempio numerico darà prova di come e quanto l’Europa avrebbe dovuto sopportare un incremento maggiore del costo del petrolio se il tasso di cambio euro/dollaro non fosse stato favorevole alla nostra moneta.
Alla fine di questa puntata verrà posta agli ascoltatori una domanda chiave. Perché gli Stati Uniti "mettono le mani" nel Medio Oriente? Ormai anche i repubblicani non credono che questa guerra abbia avuto dei fini umanitari, di esportazione della democrazia o di peace making. Tuttavia molti ancora additano le ragioni della guerra al controllo del petrolio, pochi invece - e fra questi i rapper - hanno capito che gli Stati Uniti hanno paura che il dollaro non sia più la divisa internazionale di riferimento e per questo fanno le guerre.

Goodbye dollaro,
la moneta dei rapper americani ora è l'euro

Dall'universo delle top model a quello dei rapper. Dopo Giselle Bundchen anche il cantante americano Jay-Z sceglie l'euro. Se qualche settimana fa aveva fatto molto rumore la decisione della modella brasiliana di ricevere pagamenti solo in euro, certo non lascerà indifferenti il nuovo video del rapper Jay-Z's, "Blue Magic": lo scenario è quello di sempre, occhiali scuri, rolls royce, belle donne e tanto oro scintillante, solo che al posto dei dollaroni verdi, ci sono gli euro. Come se all'improvviso al posto delle "macchinone", spuntasse un'utilitaria, al posto dei crocifissi, un occhio di Maometto. Insomma, se la crisi del dollaro colpisce anche l'immaginario rap americano, la situazione è davvero preoccupante. Sul fronte pagamenti, la Bundchen non è l'unica che ha preferito la moneta del vecchio continente a quella di Paperone (secondo il settimanale brasiliano Veja, i compensi sono arrivati da Procter&Gamble e Dolce&Gabbana): anche il miliardario Warren Buffet, conosciuto come «l'Oracolo di Omaha» e Bill Gross, il chief investment officer di Pimco, primo fondo obbligazionario del mondo, hanno optato per questa strategia valutaria.
(Fonte: IlSole24Ore.com)

mercoledì 7 novembre 2007

10ma puntata. Globalizzazione

Non è un caso che anche Giovanni Paolo II, poco prima di morire, aveva in mente una enciclica per il Giubileo del 2000 sui temi della globalizzazione, soprattutto per ribadire meglio il filo conduttore di tutta la Dottrina Sociale della Chiesa, ovvero che l’economia di mercato inventata dai francescani e poi teorizzata a Napoli da Antonio Genovesi non è l’economia capitalistica di origine anglosassone.
Sulla globalizzazione è stato forse scritto troppo, ingenerando spesso delle emerite sciocchezze. Oggi quando mi si chiede cosa sia in realtà la globalizzazione viene in mente la famosa riflessione su che cos’è tempo da parte di Sant’Agostino: «se non me lo chiedi lo so; ma se invece me lo chiedi non so rispondere».
Per anni siamo rimasti intrappolati nel processo mediatico “globalizzazione si, globalizzazione no”, senza invece preoccuparci che la questione da porsi per diventare protagonisti di questo processo storico è “globalizzazione che cosa, globalizzazione come”. A partire dalle novità introdotte dalla globalizzazione, nella puntata vengono messe in luce alcune conseguenze importanti per arrivare a fare delle proposte su come cercare di governare questo processo inevitabile.

mercoledì 31 ottobre 2007

9na puntata. Investimenti finanziari

Alle domande che cos’è la Borsa e quali sono le tipologie degli strumenti finanziari a disposizione di tutti i cittadini-risparmiatori viene in soccorso Einstein secondo cui «ogni cosa deve essere resa semplice quanto più possibile, ma non di più». Ma se l’esterofilia degli economisti finanziari non aiuta a districarsi nel mondo dei mercati borsistici, il rigore nell’interpretazione dei dati conduce a una perplessità: se gli italiani sono più avversi al rischio, per ragioni storico-culturali, rispetto ai vicini tedeschi o francesi, perché detengono in portafoglio una quota di azioni maggiore e vicina a quella degli statunitensi? Due le possibili risposte: banche, sim e sgr non fanno bene il loro mestiere nel valutare il profilo di rischio dell’investitore; banche, sim e sgr tendono a vendere prodotti a più alte commissioni (es. fondi comuni azionari e non exchange traded funds). Unica la raccomandazione: acquisire maggiore consapevolezza dei propri risparmi e occuparsi dei propri soldi non vuol dire diventare degli esperti di finanza, ma iniziare a comportarsi con la propria banca così come farebbe un ipocondriaco con il proprio medico.

mercoledì 24 ottobre 2007

8va puntata. Risparmi

Che cosa si intende per risparmio e chi sono i soggetti risparmiatori? Quanto risparmiano le famiglie oggi? Alcuni dati: l’85% del risparmio totale in una comunità è di derivazione familiare; mediamente ciascuna famiglia il 15-16% del proprio reddito. Ma la più proverbiale osservazione a proposito delle medie statistiche è quella per cui se qualcuno mangia un pollo, e qualcun altro no, in media hanno mangiato mezzo pollo. E allora meglio rivolgersi all’esperienza degli ascoltatori.



La Statistica

Sai ched’è la statistica? È ’na cosa
che serve pe’ fa’ un conto in generale
de la gente che nasce, che sta male,
che more, che va in carcere e che sposa.
Ma pe’ me la statistica curiosa
è dove c’entra la percentuale,
pe’ via che, lì, la media è sempre eguale
puro co’ la persona bisognosa.
Me spiego: da li conti che se fanno
secondo le statistiche d’adesso
risurta che te tocca un pollo all’anno:
e, se nun entra ne le spese tue,
t’entra ne la statistica lo stesso
perché c’è un antro che ne magna due.

(Trilussa)

mercoledì 17 ottobre 2007

7ma puntata. Liberalizzazioni

Dopo almeno due decenni di privatizzazioni e liberalizzazioni non è accettabile che ancora vengono confusi i due termini al punto di renderli sinonimi in alcuni casi.
Per primo, una distinzione terminologica. Liberalizzare vuol dire, in tutto il mondo, intervenire pubblicamente creando o potenziando la concorrenza fra gli offerenti dei beni e servizi venduti sul mercato. Privatizzare, almeno in Europa, significa trasferire quote di proprietà da soci pubblici a privati.
Per secondo, una differenza notevole di obiettivi. Si liberalizza per tutelare la libertà di scelta dei cittadini-consumatori, favorire l’abbassamento dei prezzi e creare i presupposti per innestare il processo di innovazione delle imprese. Si privatizza, invece, per rimpinguare le casse dello Stato e per aumentare l’efficienza in quei settori di beni e servizi in cui il privato agisce meglio.
Il primo appello alle liberalizzazioni fu fatto trent’anni fa dall’economista e politico Guido Carli, oggi qualcuno vorrebbe dare una veste ideologica a questo processo: il vero coraggio degli addetti ai lavori è di spiegare che ogni protezione dei produttori è uno sfruttamento dei consumatori.

mercoledì 10 ottobre 2007

6ta puntata. Consumi

Il consumatore recettore passivo delle proposte che gli vengono dal lato della produzione va cedendo il passo ad un soggetto che vuole consumare in modo critico. Con le sue decisioni di acquisto e con i suoi comportamenti il consumatore intende contribuire a costruire l'offerta dei beni e servizi di cui fa domanda sul mercato. Non gli basta più il celebrato rapporto qualità-prezzo, ma vuole sapere come quel certo bene è stato prodotto e se nel corso della produzione l'impresa ha rispettato i diritti fondamentali delle persone. A questo proposito l'economista e filosofo John Stuart Mill parlava già nell'ottocento di “sovranità del consumatore”. Recenti ricerche hanno mostrato come l'80% dei consumatori europei ha dichiarato di essere disposto a pagare un prezzo leggermente più elevato se il dippiù delle imprese dalle quali acquistano beni o servizi va a finanziare iniziative socialmente rilevanti.

giovedì 4 ottobre 2007

5ta puntata. Trattamento di fine rapporto

Dalla nascita del TFR (Trattamento di Fine Rapporto) alla recente riforma della previdenza complementare che vorrebbe «dare un calcio» ad un’invenzione tutta italiana invidiata in tutto il mondo. Nella puntata vengono poste cinque domande scottanti: perché affidare il Tfr agli «sfasciacarrozze» del risparmio gestito? perché affidare le pensioni alla roulette del mercato finanziario? perché lo Stato permette ai cittadini che non hanno una minima conoscenza del mercato finanziario di scegliere in quale fondo e in quale comparto cumulare la propria quota di tfr annuale? perché non esiste un contratto in cui i fondi pensione garantiscono una rendita pensionistica minima e una compartecipazione agli extrarendimenti realizzati sul mercato finanziario? perché c’è una disparità di trattamento fra chi decide di entrare entro il 30 giugno 2007 nella previdenza completare, la cui scelta è irreversibile, e fra chi decide di mantenere il tfr in azienda, la cui scelta è invece “molto” reversibile?
La previdenza complementare non è da bocciare in linea di principio, una riforma è necessaria per la tutela della stabilità finanziaria dello Stato. Tuttavia, è opportuno che vengano delle risposte a queste domande, e per ora meglio prendere tutto il tempo firmando per mantenere il tfr tale e quale in azienda.

mercoledì 26 settembre 2007

4ta puntata. Economia di mercato

Che cos’è, quando nasce e quali sono i tratti tipici dell’economia di mercato?
Nel corso della puntata vengono offerte precise risposte a queste domande per non continuare a fare confusione tra economia di mercato ed economia capitalistica. La prima nata in Italia nel 1400 durante il periodo dell’Umanesimo, inventata dai francescani e teorizzata a Napoli da Antonio Genovesi; la seconda nata in Inghilterra nella seconda metà del 1700 con la prima rivoluzione industriale, resa celebre da molti economisti di origine anglosassone.
Tutto ciò resta una storia lontana se non si capisce che la necessità dei frati francescani, economisti ante litteram, di creare il mercato era legata ad un loro adagio: «l’elemosina aiuta a sopravvivere, ma non a vivere perché vivere è produrre e l’elemosina non aiuta a produrre».

mercoledì 19 settembre 2007

3za puntata. Crescita economica

La maggior parte dei mezzi di informazione presentano il tema della crescita economica senza spiegare al grande pubblico al quale vorrebbero rivolgersi che cosa sia l’oggetto della crescita, come si misura e perché negli ultimi dieci anni è diventata un tema quasi assordante nei discorsi politici. Partendo dalla definizione del PIL (Prodotto Interno Lordo), per andare ad una sua misurazione intuitiva, fino ad arrivare a sostenere che Pil è inadeguato nel descrivere la crescita economica di un Paese perché esprime un indicatore materiale. Se in passato risultava valido perché la crescita quantitativo-materiale era considerata fondamentale per uscire dalla povertà e potenziare il sistema produttivo, oggi non può esserlo per una società postmoderna come la nostra in cui lo sviluppo deve transitare attraverso gli investimenti in capitale umano e sociale, e la crescita dei beni intangibili o immateriali. Ecco perché, come sta accadendo in Cina, il Pil può correre ma la società resta ferma.

mercoledì 12 settembre 2007

2da puntata. Mutui subprime

Perché mai un mutuo non pagato da un metalmeccanico di Chicago può provocare dei guai anche al nostro benessere?
Subprime, un termine americano per indicare una fascia di clientela di “serie B” a cui appartengono quei cittadini meno affidabili, con un lavoro più instabile e un passato di pagamenti ritardati verso le banche. Subprime, un virus che si è abbattuto sulla borsa americana con conseguenza preoccupanti per l'assetto generale del sistema finanziario mondiale. La crisi della concessione del credito a questa fascia di popolazione più a rischio non è causata dai lavoratori statunitensi, ma da alcune scelte sbagliate da parte della banca centrale americana e da gravi comportamenti da parte delle banche e delle agenzie di rating.

mercoledì 5 settembre 2007

1ma puntata. Povertà

Che cosa vuol dire essere poveri oggi nella società postmoderna?
È molto difficile rispondere a questa domanda se non introduciamo le nuove povertà, ovvero quelle difficilmente misurabili da indicatori economici o comunque in parte indipendenti dal reddito e dai consumi. Rifiutando l’approccio soggettivo della sociologa americana Molly Orkenski, secondo cui «la povertà è come la bellezza, dipende dal punto di vista dell’osservatore», in questa puntata vengono presentate le cause all’origine delle nuove povertà, tra cui l’aumento dell’insieme dei prerequisiti per essere “accettato” dalla società, e i possibili nuovi rimedi dato che non basta più come per le vecchie povertà agire sul piano delle condizioni materiali attraverso le famose politiche keynesiane.