mercoledì 7 novembre 2007

10ma puntata. Globalizzazione

Non è un caso che anche Giovanni Paolo II, poco prima di morire, aveva in mente una enciclica per il Giubileo del 2000 sui temi della globalizzazione, soprattutto per ribadire meglio il filo conduttore di tutta la Dottrina Sociale della Chiesa, ovvero che l’economia di mercato inventata dai francescani e poi teorizzata a Napoli da Antonio Genovesi non è l’economia capitalistica di origine anglosassone.
Sulla globalizzazione è stato forse scritto troppo, ingenerando spesso delle emerite sciocchezze. Oggi quando mi si chiede cosa sia in realtà la globalizzazione viene in mente la famosa riflessione su che cos’è tempo da parte di Sant’Agostino: «se non me lo chiedi lo so; ma se invece me lo chiedi non so rispondere».
Per anni siamo rimasti intrappolati nel processo mediatico “globalizzazione si, globalizzazione no”, senza invece preoccuparci che la questione da porsi per diventare protagonisti di questo processo storico è “globalizzazione che cosa, globalizzazione come”. A partire dalle novità introdotte dalla globalizzazione, nella puntata vengono messe in luce alcune conseguenze importanti per arrivare a fare delle proposte su come cercare di governare questo processo inevitabile.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Ciao Marco e un saluto a tutti i militanti del Caffè Economico. Intanto ti ringrazio per il tuo lavoro e per l'opportunità che ci dai con il tuo blog.
Il tema trattato nella puntata “globalizzazione” mi tocca da vicino data la mia esperienza di lavoro ancora in corso in Cina e vorrei offrire degli spunti di riflessione sulla globalizzazione vista come risorsa e sulla delocalizzazione del lavoro come parte integrante del processo di globalizzazione.
La globalizzazione ha fatto in modo che la “torta” si allargasse e che aumentassero le mani che possono permettersi una fetta. Si sono aggiunti nuovi posti alla tavola dell'economia: è una spinta decisiva al calo della povertà assoluta, ma gli scompensi che ne derivano vanno ad aumentare quella relativa. Le estremizzazioni delle disparità sociali sono evidentemente un fatto negativo, ma a mio avviso non completamente. Faccio un esempio banale, ma efficace. Inizialmente due individui non hanno niente da mangiare. Grazie agli effetti della globalizzazione uno dei due può permettersi di comprare il pane. Le loro condizioni economiche e sociali sono di molto differenti, la povertà relativa è aumentata, ma non c'è dubbio che ora un individuo sta mangiando. Adesso è necessario lavorare per far sì che si dividano il pane, ma prima di questo non c'era niente da spartirsi! Il problema della povertà non è risolto, ma è di molto migliorato rispetto alla situazione iniziale. Possiamo considerare questo un male?
Il secondo punto, che ci tocca più da vicino, è la delocalizzazione del lavoro. Negli ultimi anni abbiamo assistito a cambiamenti radicali nel mondo del lavoro e in generale, nell’economia del nostro paese. In un breve arco di tempo il mercato ha allargato i propri confini, conquistando nuove terre e sconvolgendo il nostro sistema produttivo. La migrazione della produzione tocca piccole e grandi aziende. I mezzi per attuarla sono ormai alla portata di tutte le imprese. L'opportunità di ridurre i costi non è l'unico vantaggio che le aziende italiane vedono in questo. I paesi "emergenti", nei quali portiamo il nostro lavoro, oltre alla crescita del PIL, registrano un proporzionale aumento nei consumi, dunque delle importazioni. Di questo beneficiamo in modo diretto anche noi: si aprono nuovi mercati e si creano opportunità per tutti (o quasi). Con la globalizzazione e soprattutto con la delocalizzazione della produzione investiamo o cediamo parte della nostra ricchezza: è questo il punto cruciale che determina le nostre paure. Stiamo portando il lavoro al di fuori dei nostri confini nazionali e ciò che ne deriva è una situazione d’incertezza per tutte le classi sociali. Qual è il futuro che ci aspetta? Chi si sta occupando di garantire il nostro lavoro? Che cosa faranno gli operai e gli impiegati italiani, quando la maggior parte della produzione sarà delocalizzata fuori del nostro paese? Non trovo risposte a queste domande nell'operato delle nostre istituzioni, eppure inesorabilmente il processo di globalizzazione è iniziato. Ci ha colto impreparati e dubito che l'impatto sul economia nazionale possa essere facilmente assorbito. Spero che l'evolversi della situazione possa smentirmi, ma per ora non riesco ad immaginare un futuro roseo per il nostro lavoro.

Un saluto ancora,
A presto

Anonimo ha detto...

Ciao Marco. Volevo solo dire che la globalizzazione dovrebbe essere vista più come una opportunità di crescita e miglioramento piuttosto che una minaccia. Dovrebbe essere uno stimolo a fare sempre di più e meglio, perchè dall'altra parte del mondo c'è sempre qualcuno pronto a competere con noi. Quindi dovrebbe essere l'occasione per iniziare a investire sulle persone, qualificarle, come hai detto più volte nelle precedenti puntate.La paura della gente di fronte alla globallizzazione, che si evince anche dalle telefonate in studio, secondo me deriva dal fatto che noi italiani abbiamo scoperto di non essere così speciali come abbiamo creduto per tanto tempo e che ci sono persone migliori di noi, anche in quei paesi che per molti anni sono stati considerati del terzo mondo ( come l'India che oggi vanta delle eccellenze a livello di tecnologie).Non possiamo e non dobbiamo sfuggire alla globalizzazione, ormai ci siamo dentro,dobbiamo metterci in gioco e scendere sul campo della competizione globale. Un saluto e avanti così perchè offri un servizio davvero ottimo.