giovedì 27 dicembre 2007

17ma puntata. Felicità

Dopo quasi due secoli di eclissi, la parola felicità oggi sta tornando in auge nei dibattiti sul percorso da intraprendere per incrementare il benessere, non solo economico, della comunità. È questa una rivoluzione iniziata circa trent’anni fa quando, dapprima negli Stati Uniti e poi in Europa, si iniziò a misurare la felicità delle persone tramite questionari e a confrontarla con i tipici indicatori economici, reddito e ricchezza in particolare. Ciò che emerse dagli primi studi è oggi noto come il “paradosso della felicità in economia”, vale a dire la quasi inesistente correlazione tra reddito e benessere delle persone, o tra benessere economico e felicità. I dati raccolti lungo diversi anni dall’economista e demografo Richard Easterlin attorno al 1974 ci dicono che, al di sopra della soglia remunerativa dei 20.000 euro all’anno, più si aumenta il reddito più si è infelici. Perché? La spiegazione più convincente è che il nostro star bene dipende dal consumo dei beni materiali (cibo, vestiario, casa, ecc…) e dalla produzione dei beni immateriali o relazionali. Per il fatto di ottenere ulteriori quantità di reddito devo sacrificare la produzione di beni immateriali (fiducia, reciprocità, amicizia, matrimonio, affetto, ecc…), e quindi anche il suo consumo, perché il bene relazionale richiede tempo e soprattutto la personalizzazione. E siccome lo scopo della vita non è l’utilità derivante dal consumo di più beni materiali, ma dalla felicità della produzione di beni immateriali diventiamo più infelici.

1 commento:

Unknown ha detto...

Ciao Marco, ti ringrazio per la preziosa consulenza che mi hai fornito sulla figura dell’Energy Manager. Se mi dai le coordinate bancarie ti verso il bonifico come da te richiesto. Non scordarti dell’IBAN. Ce lo vuole di questi tempi. Di grande interesse il tema della presente puntata. I paradossali risultati di Easterlin comunque furono raggiunti ben prima del 74 dai nostri nonni quando tuttora ci tramandano l’ineccepibile aforisma: “si lavora e si fatiga per la panza e per la f…”. Evitando di calarci in scurrili citazioni, da una spremitura di tale concetto il succo che ne esce è essenziale come l’atomo di idrogeno nella tavola periodica. Vabbe’, dai, lascia sta’, quando passi a casa te spiego la metafora. L’interpretazione che mi sovviene dell’intangibile verità che è espressa dai vecchietti delle nostre zone, è che una volta che c’è la salute e la sfera sentimentale gira come quelle luminose delle discoteche, allora lo scopo delle attività lavorative è raggiunto nel livello massimo e minimamente sufficiente per cui è stato pensato. Oltre tale bordo si esce da una soglia di soddisfazione. Al di sotto peggio me sento. Le relazioni umane e le tavolate imbandite sono state e saranno il motore dell’economia. O no? :-) Ciao e buon lavoro!