mercoledì 28 aprile 2010
mercoledì 21 aprile 2010
mercoledì 14 aprile 2010
117ma puntata. Quali reti d'impresa per guardare al futuro
Prima della crisi il nanismo dimensionale delle imprese ha sicuramente costituito una barriera ai processi di innovazione e di ricerca di nuovi mercati; al contrario, dopo la crisi una dimensione d’impresa a misura di famiglia è stata la condizione di flessibilità per attutire i venti recessivi e la battuta d’arresto della domanda mondiale.
Da un lato chi ha evocato il ritorno urgente al “piccolo è bello” e al capitalismo molecolare, che però fatica ad affrontare i rischiosi percorsi di crescita perché intrappolato nei passaggi dell’impresa alle generazioni successive e nell’introduzione di nuovi prodotti sul mercato. Dall’altro lato, invece, chi ha sottolineato come un’esigua sottocapitalizzazione dell’impresa, specie nei periodi di stretta creditizia e di riduzione della leva finanziaria, sia l’ostacolo principale a quell’auspicabile aumento della quota di investimenti tangibili e intangibili che, insieme ad un’accurata strategia aziendale, riporterebbe il nostro tessuto industriale sui livelli di produttività e competitività alla pari degli altri Paesi europei presi come riferimento (Francia e Germania).
Una valutazione deve essere allora a questo punto condivisa: l’impresa non può restare piccola e isolata dal distretto di provenienza, deve raggiungere un’adeguata massa critica per potere fare innovazione e migliorare il proprio posizionamento sul mercato. Ma per fare questo è necessario incentivare, sia culturalmente che legislativamente, le imprese del territorio ad avviare dei percorsi di crescita più graduali rispetto a quelle patrimonializzazioni a volte “frettolose” – derivanti dalle fusioni e acquisizioni tout court, o magari dal conferimento di capitale proprio da parte dell’imprenditore di prima generazione – senza un obiettivo preciso, un management preparato e una tempistica definita.
Ormai da tempo si identifica nella “rete d’impresa” uno strumento a volte solo giuridico, altre volte anche economico-organizzativo, per superare la frammentarietà e il nanismo operativo e culturale del panorama imprenditoriale italiano. Quasi mai però, almeno fino ad oggi, le proposte messe in campo per la costituzione di una rete d’impresa hanno un’ottica di medio-lungo periodo, solide basi tecnico-finanziarie, un mandato netto ad un coordinamento manageriale e una strategia d’impresa condivisa. Inoltre, in molti casi le reti d’impresa hanno solo formalizzato delle relazioni industriali già esistenti all’interno di una filiera produttiva o creato coordinamenti aziendali di corto respiro e finalizzati a singoli progetti specifici nell’ambito di una tranche di finanziamento pubblico. In altri casi, l’obiettivo di creazione di una rete d’imprese è stato fin troppo interpretato sul piano materiale: aggregare più imprese possibili per far numero, ottenere economie di scala, risparmiare sui costi e fare quello che un’impresa piccola da sola non riesce a fare (andare nelle fiere, vendere meglio, raggiungere nuovi mercati, etc). Sicuramente una prima aggregazione “soft” delle imprese permetterebbe di poter partecipare a iniziative commerciali e di condividere alcuni investimenti che non sarebbero possibili alla singola impresa. Ma nell’era della conoscenza questo non basta, i beni intangibili (cultura aziendale, know-how, capitale umano, capacità di avere una mission e di mettere in campo una strategia d’impresa, etc) devono trovare uno spazio predominante e nelle reti d’impresa è necessario trovare la modalità di scambiarsi informazioni preziose e innovazioni incrementali. Non è solo un modo per crescere oggi, o domani quando le cose andranno meglio, ma una forma di copertura dal rischio di scomparire dal mercato al manifestarsi della prossima crisi economica.
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